Lorenzo piccolo amputato
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Quando lo conobbi, aveva otto anni, proveniva dalla provincia di Firenze. Era un veterano dell’Istituto dei Tumori. Un bambino bellissimo. Di buona famiglia come si dice. Molto più maturo per la sua età, come tutti i bambini che da un po’ frequentavano l’Istituto.
Lorenzo bambino in gamba
Gli avevano amputato una gamba quattro anni prima. All’altezza della metà del femore. Dall’Istituto non si esce guariti. A distanza di cinque anni dalla prima diagnosi di tumore, secondo i protocolli, si è considerati sopravvissuti. La somministrazione periodica delle chemioterapie, i controlli ematici, radiografici e visite di controllo, obbligano i piccoli pazienti, che vengono da vicino e da lontano, a un andirivieni logorante, per loro e i loro genitori.
Dalla prima infausta diagnosi di tumore, interventi, chemioterapie, irradiazioni, secondo l’evoluzione della malattia, i controlli si fanno sempre più distanziati, per cui tanto quanto più ci si avvicina alla fatidica data del quinto anno, tante più sono le speranze di esserne venuti fuori.
Lorenzo al traguardo dei sei mesi
A Lorenzo e a sua madre mancavano sei mesi, per portare a termine quel calvario. Ma nell’ultima radiografia al torace apparvero metastasi ai polmoni. Prossimi al traguardo il mondo cadde loro addosso. Ricordo che rientrando dal turno di riposo, incontrai Lorenzo piangente per u dolore dell’amputazione di quattro anni prima.
Dopo tutto quel tempo il moncone aveva ripreso a fargli male. Il mostro si era risvegliato. Teoricamente non c’era relazione diretta tra metastasi ai polmoni e amputazione.
L’osteosarcoma non c’era più
Il tumore all’arto era stato portato via quattro anni prima con tutta la sua gamba, la gioia di vivere. L’impossibilità di camminare e correre come tutti i bambini, ma ormai Lorenzo era un ometto. Piangeva già da due giorni senza interruzione. Nemmeno la morfina calmava il suo dolore. Che con il senno di poi, oggi identificherei come un dolore dell’anima. Il piccolo troncone femorale di Lorenzo non aveva più nessuna affezione.
Il problema si era spostato verso le metastasi polmonari. Ero ancora agli inizi del mio percorso di reflessologo. Gli massaggiai/messaggiai l’area riflessa del femore sull’altro piede. Quella che secondo la mia mappa vi doveva corrispondere. Di lì a pochi minuti cadde in un sonno profondo. Spossato dal dolore.
A Lorenzo le endorfine si erano sostituite alla morfina
Con in corpo, una quantità di morfina che avrebbe dovuto mettere ko un adulto, finalmente si era addormentato. Cos’era successo? In quel frangente presi atto della situazione e basta. Il dolore aveva smesso di tormentarlo e ora dormiva. Mi sembrava normale.
Gli avevo massaggiato l’area riflessa contro laterale perché in quel momento non avevo altre scelte. Oggi direi, se il problema è yin, massaggiare lo yang, se è in alto massaggiare in basso, se a destra massaggiare a sinistra.
Controlateralità
Quando troviamo un’area particolarmente sensibile per la superficialità, intensità o acutezza, questa è intoccabile. Quindi porteremo l’attenzione con il massaggio dalla parte opposta, alto/basso, destra/sinistra, avanti/dietro… In termini di fisica termodinamica oggi si direbbe creare una differenza di potenziale elettrico.
Quando tocco una qualunque parte del corpo, il cervello porta l’attenzione verso l’area toccata, ciò comporta lo spostamento dell’attenzione e una diversificata concentrazione di elettricità. A Lorenzo il suo corpo aveva sintetizzato una quantità di cortisolo fisiologico tale da determinare l’innalzamento della soglia del dolore. A quel punto la morfina sintetica aveva potuto assolvere la sua funzione che determinò il crollo per spossamento.
Con il senno di poi
Ripercorrendo, rielaborando i vissuti, a distanza di anni, con le esperienze acquisite, ora leggo e interpreto con occhio differente. Se il dolore di Lorenzo fosse stato originato dall’amputazione, di origine organica, fisico, la morfina sicuramente avrebbe agito, ma quello no, era un dolore dell’anima.
Il dolore non è radiografabile, era incomprensibile agli occhi dei medici, il moncone non aveva infezione o infiammazione, era sano. Prossimo al quinto anno, venuto a Milano per un controllo di routine, il mostro sopito si era svegliato per riprendersi la sua giovane vita, attaccando il “Palazzo del Qi”, i polmoni, e poi tutta la sua vita.