Reflessologia Plantare Michelangelo, scultore taoista?
Quando chiedevano a Michelangelo: «Maestro, come fa a scolpire simili meraviglie?»
Lui rispondeva serafico: «La scultura nel blocco di marmo c’è già… basta togliere ciò che c’è attorno, la scultura non è l’arte del porre, ma del levare…»
Michelangelo levava dalla pietra come una levatrice leva un bimbo dal grembo della madre, levava ma non creava, perché la scultura c’era già.
Il sole che si leva, appare, si rende manifesto. Per noi terapisti taoisti, l’apertura del terzo occhio, la capacità di vedere aldilà di ciò che appare, consiste nel vedere la salute nel paziente, il qi, la forza vitale che ha difficoltà a manifestarsi nella sua completezza.
Reflessologia Plantare Michelangelo, tra pieni e vuoti
L’autentico terapista, non dà ne prende, mette in movimento, rimuove le cause delle alterazioni che determinano la malattia, svuota i pieni e riempie i vuoti. Come Michelangelo, deve avere la capacità di vedere aldilà di ciò che appare, altrimenti continua a navigare al buio, provando questo o quello con la speranza che qualcosa accada.
Non si è medici, avvocati o architetti il giorno della laurea, ma durante un percorso che terminerà solo con la nostra fine. Un atleta a trentacinque/quarant’anni è al termine della carriera, un terapista alla stessa età è solo all’inizio.
Reflessologia Plantare Michelangelo, la Pietà di Roma
A soli ventitré anni dimostrò di avere un talento e un virtuosismo scultoreo senza pari. La bellezza di quella pietà è nota a tutti, non c’è né una martellata in più né una in meno, è perfetta. Fu importante nella sua esperienza artistica perché non solo fu il suo primo capolavoro, ma anche la prima opera da lui realizzata in marmo di Carrara, che da quel momento divenne la materia prima della sua creatività.
Perfetta nella sua bellezza statuaria e ferma, senza possibilità di evoluzione, se si decidesse di ritoccarla in qualche particolare non sarebbe più la pietà del giovane Michelangelo Buonnaroti.
I due personaggi principali, Cristo e la Madonna, sono yang levigati, visibili, finiti, a differenza del basamento, yin, scolpito piuttosto grossolanamente per esaltare ancor di più la divinità del Cristo e la santità della Madonna, segnando così una netta divisione tra umanità terrena, yin e divinità celeste, yang.
Michelangelo inoltre non ha voluto rappresentare la scena solo con lo scopo di narrare un episodio, la morte di Cristo, ma era principalmente interessato all’aspetto simbolico: Maria appare più giovane del Cristo stesso, è rappresentata come quando lo concepì, a sedici anni.
Se Maria ha partorito Gesù che aveva all’incirca sedici anni, Gesù quando è morto ne aveva trentatré, quindi la Madonna doveva avere 49 anni. In questa scultura sembra che di anni ne abbia sedici, è più giovane di Gesù stesso. Quando glie lo fecero notare disse : -Ognuno è libero di vederci quello che vuole.-
Il gesto dimostrativo della mano sinistra pare dire al fedele ciò che aveva previsto: la morte di suo figlio si è avverata. La struttura è piramidale, al vertice la testa della Madonna con la veste che si allarga verso il basamento e le gambe divaricate per meglio armonizzare e sostenere con essa il corpo orizzontale del Cristo.
Il raccordo tra la verticalità, yang, della Madonna e l’orizzontalità, yin, del figlio è dato dal panneggio sinuoso con effetti traslucidi che permette il passaggio in modo fluido e armonizzato.
Questa scultura è pensata per essere vista frontalmente, se la si osserva di lato si nota che è schiacciata, compressa, anche solo spostandosi di poco dal centro si perdono particolari come la definizione della muscolatura, i panneggi, è quasi un bassorilievo. In questa pietà Cristo è morto, orizzontale, è una deposizione bellissima, ma ferma, statuaria.
Reflessologia Plantare Michelangelo, la pietà di Firenze
Dopo aver passato una vita a realizzare capolavori, affreschi, statue e sculture, per tombe di papi e cardinali, Michelangelo inizia a realizzare una pietà che secondo le sue intenzioni doveva essere destinata alla sua tomba e che oggi è chiamata Pietà dell’Opera del Duomo, dall’attuale collocazione nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze.
l soggetto che domina la sua produzione scultorea ormai è quello della Pietà. Questi gruppi scultorei prevedevano solitamente il corpo morto del Cristo tolto dalla croce e posto nel sepolcro dalla Madonna o dai discepoli.
Nel gruppo fiorentino sovrasta la figura di Giuseppe d’Arimatea, secondo alcuni Nicodemo, nel quale molti hanno riconosciuto il suo autoritratto.
Cristo è sorretto dalla Vergine e dalla Maddalena, il gruppo è disposto ancora una volta in modo piramidale e la cuspide della piramide forse è lui stesso.
In quest’opera il Cristo non è posto orizzontale, è accasciato, sostenuto da un Madonna che non ha paragoni con quella realizzata cinquant’anni prima.
La figura retrostante, forse Michelangelo stesso, sembra solo un osservatore dell’evento. Questi gruppi scultorei prevedevano solitamente il corpo morto del cristo tolto dalla croce e posto nel sepolcro dalla Madonna o dai discepoli.
Reflessologia Plantare Michelangelo, la Pietà di Milano, una pietà per i posteri
Nel 1557, Michelangelo ha ottantadue anni; percependo l’approssimarsi della sua morte, sebbene già celebrato come maggior artista vivente e molto ricco, viveva da povero in una piccola casa nel centro di Roma, spinto alla semplicità dal suo profondo senso religioso.
Michelangelo scultore è riuscito a dare movimento alla pietra che per antonomasia è l’immagine dell’immobilità. Come testamento artistico ci lascia quell’autentico capolavoro, visitabile nel Castello Sforzesco di Milano, che è la Pietà Rondanini.
Così chiamata perché i marchesi Rondanini ne furono possessori da 1774 al 1952 quando la vendettero al comune di Milano. Grande iniziato, negli ultimi anni della sua intensa esistenza, come estrema sintesi della sua attività di scultore, ci ha lasciato una serie di opere alle quali ha dato vita e movimento.
Michelangelo raggiunge quel livello di comprensione e strutturazione della sua arte che fa vivere il marmo, non più con la bellezza e la leggerezza dei panneggi della Pietà giovanile in San Pietro a Roma, ma realizzando sculture che sembra debbano essere ancora terminate.
Ancora parzialmente nella pietra ma erroneamente considerate incompiute. In realtà, guardandole, ognuno di noi continua a scolpirle secondo la propria sensibilità.
Michelangelo Iniziò a lavorare alla Pietà Rondanini poco dopo 1553, ma ben presto l’abbandonò o meglio tentò di distruggerla, se gli amici non gliel’avessero portata via come annotò il Vasari:
«Se l’era recata in odio e scappatagli la pazienza la ruppe e la voleva rompere affatto…»
«Fosse pure che il giudizio di quello uomo fussi tanto grande, che non si contentava mai di cosa ei facesse.»
Soltanto nel 1564, nell’ultimo anno della sua vita, il maestro riprese a lavorare a quell’opera.
«Fino al venerdì innante il marte di morire.»
La Pietà Rondanini, fu definita, nell’inventario delle opere rinvenute nel suo studio dopo la morte, come:
“Un’altra statua principiata per un Cristo et un’altra figura di sopra, attaccate insieme, sbozzate e non finite.”
Ma ben presto la abbandonò o meglio tentò di distruggerla. Le sue opere “levate” dai marmi bianchi di Carrara, ancora oggi sono interpretate come non compiute, solo sbozzate.
In realtà la reflessologia plantare Michelangelo danno il là. L’osservatore non è più un soggetto passivo, diviene partecipe della scultura, continua a scolpirla a sua volta. Di una statua non faceva la bozza per poi rifinirla, un braccio, una testa, un corpo, li faceva emergere in tutti i particolari anatomici, perché in quel blocco di marmo la statua stessa già c’era, lui toglieva solo il superfluo.
Osservando la Pietà Rondanini con attenzione, possiamo scorgere il movimento a spirale, movimento primordiale e immutabile di tutte le cose dell’universo.
Il movimento della luce, le traiettorie dei pianeti, l’energia della kundalini, il movimento sinusoidale del bambino alla nascita quando appare prima la testa, poi una spalla ed infine il resto del corpo.
La vibrazione del suono, l’immagine dei due serpenti, (yin/yang) attorno al caduceo, l’otto posto orizzontalmente come simbolo dell’infinito che incontriamo anche sul cappello del “bagatto” dei tarocchi.
Osservando la scultura, la parte anteriore, yin, di questa scultura è più realizzata, compiuta, rifinita rispetto alla parte posteriore yang che rimane solo abbozzata.
La parte bassa, yin, rispetto alla parte alta yang gli corrisponde: è anch’essa più rifinita. Il volto di Cristo diviene yang rispetto a quella di Maria yin perché già più delineato nei tratti.
La Madonna è fisica, limitata, circoscritta nella sua funzione, il volto di Cristo sembra appena abbozzato, è ancora in evoluzione. La Madonna, dietro a Gesù, è appoggiata sulle spalle del Figlio che la sostiene e non viceversa; le braccia non sono sotto le ascelle di Gesù nell’atteggiamento di chi deve sostenere un corpo per la deposizione.
È Cristo, con la sua morte, che sorregge l’umanità identificata in Maria che nella scultura appare piccola e tozza, situata sopra un gradino per raggiungere le spalle del figlio, che ancora una volta è in posizione yin (sotto) rispetto alla madre.
Ampliando il concetto nascita/morte si pone in una posizione d’inferiorità rispetto all’umanità, nascendo in una stalla e morendo di morte di croce.
Cristo appare morto, le sue gambe sono piegate, Maria dovrebbe sostenerlo, in realtà le parti sono invertite…
Ho una passione per questa scultura in sottile costante impercettibile movimento/cambiamento. La percepisco misteriosa, intimamente taoista, non finita, proiettata verso il futuro, deridente coloro che la considerano non terminata, un abbozzo.
Se non era ancora terminata perché vi appose la sua firma? Faccio un passo indietro. Michelangelo a ventidue anni iniziò a scolpire quel capolavoro che è “La pietà” situata nella basilica di San Pietro a Roma, portandola a compimento in nove mesi.
Nella ricerca del rapporto con la divinità, la rappresentazione del Cristo si fa sempre più verticale. È questa visione che cerco d’instillare negli allievi.
La Reflessologia Plantare Zu è aperta a tutti, ma non è per tutti. Dei piedi noi reflessologi taoisti viviamo significati che vanno aldilà della struttura puramente fisica, non curiamo piedi, ma attraverso i piedi, non solo la componente fisica, ma soprattutto l’anima.
Le nostre estremità inferiori sono la parte del corpo più a contatto con la terra. Con il nostro umile lavoro quotidiano non curiamo piedi, ma attraverso i piedi, miriamo a curare l’anima di una persona, non solo la componente fisica.
Parlando di quest’argomento con chi non ha avuto una esperienza diretta almeno come paziente, comunemente s’incontra scetticismo o sarcasmo.
Sono cose che si possono descrivere e verbalizzare, ma se non si è incamminati lungo il Dao (la Via) e non si è giunti a un punto che di fisico ha sempre meno, la comprensione è relativa e solo razionale.
Il lavoro quotidiano, costante, vissuto come forma di meditazione attiva, ci permette quella che gli indiani chiamano l’apertura del “terzo occhio”, la capacità di vedere aldilà di ciò che appare.
A questi livelli non stiamo più parlando più di tecnica ma di sentire, di percepire il sottile attraverso il non sottile, l’anima attraverso i piedi, la percezione dell’assoluto…
Come nell’uroboro, l’immagine del serpente che si morde la coda: i due estremi toccandosi generano un cerchio, simbolo di perfezione, determinata dall’unione delle due estremità.
Il cerchio è interpretabile come zero angolihttps://riflessologiazu.it/libri-originali-di-riflessologia-zu/ o come trecentosessanta angoli, si arriva a un punto che diviene la congiunzione tra il materiale e l’immateriale, tra lo yin e lo yang.
Reflessologia Plantare Zu, Original Reflexology Zu
Le reflessologie sono la proiezione completa ancestrale di tutto il corpo solo su una parte di esso. Immaginiamo di fotografare una persona, rimpicciolirne la foto e proiettarla su un’area periferica: piedi, mani, orecchie, occhi, naso.
Le terminazioni nervose attraverso processi di afferenza ed efferenza, trasmettono dall’interno verso l’esterno e viceversa disagi e problematiche degli organi interni. Attraverso questi meccanismi si è in grado di raggiungere i differenti organi con sollecitazioni mirate all’ottenimento dell’ossigenazione dei tessuti attraverso la vascolarizzazione degli stessi.
La provata efficacia di queste metodiche è determinata dal fatto che s’interpretano i segnali che il nostro organismo invia attraverso le aree più periferiche, mani, piedi, orecchie, lingua, naso, occhi, che sono le aree con la maggior concentrazione di terminazioni nervose.
Il percorso dell’informazione è: organo-cervello-piedi, piedi-cervello-organo, il cervello agisce come ricetrasmittente.
La Reflessologia Plantare Michelangelo Zu proietta l’intero corpo sui piedi.